Informazioni Pettorano
Le Porte
Conserva ancora sulla sinistra notevoli resti di un tipo di torretta di difesa circolare che in origine doveva affiancare tutte le porte cittadine. Di notevole interesse risulta l'affresco situato nella parte più alta dell'arco: vi è raffigurata, tra due colonnine terminanti a fiaccola, Santa Margherita che sorregge con la mano sinistra il paese e con la destra una croce. La raffigurazione della struttura urbana, vista da SW, risulta particolarmente realistica; infatti sul puntone pentagonale del Castello è rappresentata una rigogliosa vegetazione, visibile fino ai recenti lavori di restauro del fortilizio. L'opera potrebbe essere datata intorno al 1656, come suggerisce una targa recentemente riportata alla luce da lavori di restauro.
Porta del Mulino
E' il più modesto degli accessi al paese ma assai utile in passato. Come suggerisce il nome, attraverso questo passaggio si accedeva ai mulini sul fiume, fatti costruire dai Cantelmo.
Attualmente la zona, assai suggestiva dal punto di vista naturalistico, conserva ancora i resti di queste antiche costruzioni (alcune risalenti al XVI secolo), e della ramiera ducale officina per la lavorazione del metallo.
Porta S. Margherita o delle Frascare
E' posta sul versante SW del paese verso le sorgenti del fiume Gizio, dalla quale parte la strada esterna per raggiungere le chiese rurali di S. Margherita e di San Sebastiano e San Lorenzo. L'etimologia popolare riconduce il nome secondario della porta al fatto che vi passassero i taglialegna per andare in montagna a fare le frasche.
Porta San Marco o delle Macchie
Era ed è tuttora l'accesso più vicino al castello. La statua che sovrasta l'arco rappresenta Sant'Antonio, posto tra due pinnacoli. Nelle vicinanze doveva trovarsi una chiesa dedicata a San Marco, ricordata in alcuni documenti, che dette il nome alla zona e alla porta. La denominazione secondaria si deve invece al fatto che da questa porta parte una strada, un tempo denominata via delle Macchie, che conduce alla Chiesa di San Rocco.
Porta Cencio detta anche Reale o delle Manare
Le diverse denominazioni derivano da varie situazioni; il toponimo Cencia designava la piazzola antistante a forma circolare, come una cintura (dal latino cingula, cintura) realizzata su un dirupo.
L'antica denominazione di Porta delle Manere (o Manare) non ha spiegazioni sicure: secondo alcuni si potrebbe collegare con la quasi omonima Porta Manaresca di Sulmona, termine spiegabile con l'espressione latina "mane arescit" che indicherebbe l'aridità del suolo per la lunga esposizione al sole (le porte sono esposte entrambe ad oriente) oppure derivante dal nome Manerio, conte di Valva e Signore di Pace ntro.
Solo dopo il 1832, quando il re Ferdinando II di Borbone entrò nel paese attraverso questa porta, assunse il nome di Porta Reale.
Nei pressi di questa porta fino a qualche decennio fa erano ancora visibili i resti di una torretta di difesa, simile a quella posta a lato di Porta S. Nicola.
Porta Ciminelli o di Sant'Antonio
Resta ben poco di questa porta, l'unica traccia tangibile sono i ruderi dell'antica torretta di guardia
Le Chiese
Chiesa di S. Nicola
Si tratta di una delle più antiche chiese pettoranesi: una prima attestazione si trova in un documento pontificio di Pasquale II del 1112, confermata dai successivi documenti papali del XII secolo. Secondo la tradizione locale sarebbe stata costruita sulle fondamenta di un tempio pagano, del quale però non esistono prove certe.Si presenta come una tipica chiesetta rurale, con interno molto semplice; un'iscrizione del XII-XIII secolo sull'architrave della facciata appartiene alle fasi più antiche dell'edificio, assai rimaneggiato nel corso dei secoli, soprattutto in seguito al terremoto del 1706.
Chiesa della Madonna della Libera
Fu fatta costruire nel 1680 dalla famiglia aquilana dei Vittori, come si legge nell'iscrizione posta sulla sinistra dell'ingresso.L'edificio, molto semplice nella facciata e nell'architettura, conserva all'interno un altare in marmo sormontato da un dipinto raffigurante la Madonna della Libera. Tale culto, particolarmente sentito dai cittadini della vicina Pratola Peligna, richiamava in quel luogo ogni anno molti pellegrini pettoranesi, per i quali si pensò di far costruire questo piccolo santuario.
Chiesa di San Rocco.
Fu costruita in seguito alla peste che falcidiò la popolazione nel 1656. San Rocco, protettore degli appestati, venne onorato in quasi tutti i paesi che conobbero la terribile malattia con la costruzione di una chiesa a lui dedicata. Particolare risulta la posizione della chiesa a Pettorano; infatti solitamente la chiesa di San Rocco veniva edificata fuori dalle mura urbane, mentre in questo caso l'edificio si trova nel cuore del paese. L'iscrizione sulla facciata della chiesa, un edificio dalle forme assai semplici databile alla fine del XVII secolo, esprime il terrore degli abitanti per il terribile male che li aveva colpiti e l'invocazione al Santo perché li liberi. Scendendo lungo Via Orticello, sul portale laterale della chiesa è ben visibile uno stemma bernardiniano.
Chiesa Madre
Fino al 1589 viene definita chiesa madre quella in onore di San Dionisio, ma dal 1594 il titolo passa ad una non ben identificata S. Maria della Porta. La denominazione "della Porta" fa pensare alla vicinanza ad uno degli accessi cittadini e a volte viene attribuita anche a San Dionisio.
La spiegazione ditale denominazione potrebbe ricercarsi nell'urbanistica originaria del paese: in prossimità dell'attuale Chiesa Madre doveva chiudersi la più antica cinta muraria, estesa in seguito, nel corso del XVI e XVII secolo, fino alle condizioni attuali.
Bisogna forse spiegare le differenti attribuzioni pensando ad una fusione di due complessi architettonici dedicati rispettivamente a San Dionisio e a Santa
Maria; l'accorpamento dovette avvenire dopo il terremoto del 1456. Da questo momento si trova infatti attestato un edificio dedicato ad entrambi i Santi. Alcune vicende posteriori della chiesa ci vengono raccontate dall'iscrizione posta sull'architrave del portale: l'edificio, dopo un incendio del 1694, subì ulteriori danni in seguito al terremoto del 1706 e la ricostruzione, iniziata nel 1718, finì nel 1728.La zona della Chiesa Madre veniva denominata "Prece", nome derivante secondo un'etimologia popolare dal latino "preces", preghiere. Forse è preferibile ricondurre il toponimo alla parola latina "praeceps, - ipitis", che significa precipizio, pendio, data la sua posizione a cavallo delle due vallate, a est verso il torrente Riaccio e ad ovest verso il Gizio.
Da notare sul lato destro della chiesa il bel portale rettangolare traslato dal Convento del Carmine nel 1842, come ricorda la data incisa sotto lo stemma comunale posto sopra l'ingresso: la decorazione a blocchi bugnati è arricchita da figurazioni a bassorilievo di animali fantastici ed elementi vegetali, due statue di leoni a tutto tondo sorreggono l'arco.
Sullo stesso lato della Chiesa Madre venne costruita nel 1897 una fontana ornamentale con due statue in bronzo raffiguranti le divinità Nettuno ed Anfitrite e teste zoomorfe da cui sgorga l'acqua.
Chiesa di San Giovanni
La più antica attestazione si trova in un documento di Lucio III del 1183 e in uno successivo di Clemente III del 1188. L'edificio attuale, semplice e modesto nelle proporzioni, non conserva nulla di quello originario che nei documenti del XVIII secolo risulta adibito a magazzino; sulla facciata, scolpita sull'architrave del portale, una iscrizione riporta la data "Die 16 iunii 1536", da riferire ad una delle ristrutturazioni operate sull'edificio.L'interno, a pianta irregolare, è stato completamente ristrutturato di recente; si conserva una bella acquasantiera in pietra.
Chiesa di Sant'Antonio
Secondo lo storico locale Pietro De Stephanis la chiesa doveva essere inizialmente dedicata a S. Maria della Vittoria. Annesso all'edificio sacro era un ospedale per il ricovero dei poveri e dei pellegrini (xenodochio), che nel 1719 fu dichiarato luogo profano e quindi chiuso dal vescovo Francesco Onofrio, come ricorda un'iscrizione ancora visibile sulla porta dell'originaria sacrestia.L'architettura del complesso ha subito radicali mutamenti nel corso dei secoli; in particolare la chiesa non mostra nulla dell'edificio originario, essendo stata completamente ristrutturata nel 1949.
Tradizioni
Molte delle antiche tradizioni popolari a Pettorano si sono conservate fino ad oggi sostanzialmente immutate ed integre. Molte altre sono invece scomparse. L'Associazione De Stephanis opera da oltre dieci anni per un recupero integrale della cultura popolare del nostro paese e per la sua valorizzazione. In queste pagine vi proponiamo una "lettura" dell'anno attraverso le tappe scandite dalle feste e dalle usanze pettoranesi.
Dicembre-Gennaio
Dopo le feste di novembre la luce del sole continua a declinare, fino a toccare il punto più basso col solstizio di dicembre. Allora, nel mondo contadino arcaico, su ogni altra preoccupazione prevaleva la paura dell'estinzione della luce. Di conseguenza i riti solstiziali di Capodanno erano finalizzati soprattutto a scongiurare la morte del sole. Il loro elemento più significativo era il fuoco, da quello del ciocco di Natale ai falò di Sant'Antonio Abate.
Natale
E' viva e diffusa l'usanza di preparare due tipi di dolci augurali, legati al simbolismo magico della tradizione contadina: le cròstele (ciambelle fritte, dal lat. crustola) e i cice repline (ceci ripieni o, meglio, ripieno di ceci). Le prime, come tutti i dolci di forma anulare, operano magicamente (per magia simpatica) sulla continuità dei cicli temporali, scongiurandone l'interruzione. I secondi, morbidi e pieni come seni di donne lattanti o zolle di terra fecondata dai semi, propiziano la fertilità dei campi e l'abbondanza del raccolto. Non diversamente dai semi di zucca, i ceci fanno parte di una diffusa simbologia della fecondità. Fino agli anni '50 si è conservata la tradizione del ceppo natalizio (ciòcca o capezzone). "La mattina del dì di Natale usano le contadinelle portare alle case vicine un grosso pezzo di pedale di un albero, e ne hanno regalate delle ghiottonerie" (Pietro De Stephanis). Il motivo del fuoco torna nelle torce accese che i ragazzi agitavano per le strade la sera della vigilia per annunciare la messa di mezzanotte.
Capodanno
La mezzanotte del 31 dicembre segna il discrimine tra la fine dell'anno vecchio e l'inizio del nuovo. A questo punto di sospensione cronologica sono legate due belle leggende pettoranesi. La prima riguarda l'acqua del Gizio, "che in punto a mezzanotte si arresta e diventa oro" (come dire, il flusso del tempo si ferma e il mondo è sospeso per un attimo indeterminato nell'eternità). "Una donna che non sapeva tutto questo -ma è grandissimo tempo addietro- si trovò ad attingere proprio in quel momento e, invece dell'acqua, portò a casa una conca d'oro" (G. Finamore). La seconda leggenda è ispirata a S. Margherita, patrona del paese e signora delle acque del Gizio, che fila il suo fuso d'oro nella grotta della Valle di Frevana. Si tramanda che la santa, a mezzanotte di Capodanno (o, secondo altri, di Natale), prende le fattezze di una fanciulla incantevole e si rende visibile a chi abbia l'ardire di scalare la roccia e arrampicarsi fino alla grotta. Ma la cerimonia indubbiamente più suggestiva del Capodanno pettoranese, tuttora in auge, è la serenata augurale di questua della notte di San Silvestro. "Nella sera della vigilia, dall'Avemaria fino ad ora tarda, le donne, in brigatelle, vanno in giro nel paese, cantando auguri senza accompagnamento di strumenti musicali" (G. Finamore, 1890). La canzone, cantata con le bocche accostate al buco della serratura, si chiudeva con l'augurio di buon anno. La mattina dopo, le comari tornavano nelle case dove avevano lasciato la bona nova e ricevevano la strenna in beni di natura. Nel Capodanno del 1925 il canto anonimo popolare cominciò a cedere il passo alla serenata organizzata da un apposito concertino, che da allora avrebbe presentato ogni anno una canzone nuova. Tuttora, nella notte di San Silvestro, la gente continua ad uscire e a incontrarsi sulle strade per scambiarsi gli auguri, ascoltare e cantare insieme la nuova canzone.
Feste dei Fuochi
Dopo l'Epifania, le feste dei fuochi chiudevano il periodo solstiziale e aprivano quello di Carnevale. I giorni solenni erano il 17 e il 20 gennaio, rispettivamente dedicati a Sant'Antonio Abate (Sant'Antonie o Antùane viècchie), protettore del mondo rurale, e a San Sebastiano, guaritore delle polmoniti. Il 16 gennaio, vigilia di Sant'Antonio, si cacciavano dalle stalle gli animali da fatica (asini, muli, cavalli, buoi) o di produzione (mucche, pecore e capre) e si portavano sul sagrato della chiesa del santo. Quando la piazzetta antistante era colma come una fiera, il parroco impartiva la benedizione e i contadini, subito dopo, baciavano i loro animali sulla fronte. La benedizione di Sant'Antonio aveva il potere di preservare le bestie dalle malattie e dalle fatture delle streghe per tutto l'anno, di renderle feconde e di restituirle alla pienezza del loro vigore fisico dopo il lungo torpore della stagione invernale. Il giorno successivo si svolgeva la processione. Usciva dalla chiesa del santo, faceva il giro del paese e rientrava nella chiesa madre, in piazza della Prece. Giovani e ragazzi alzavano cataste di legna, frasche e ginepri verdi su ogni slargo o piazzola posta lungo il tragitto della processione. La legna era offerta dalla gente del quartiere. Il fuoco veniva appiccato all'approssimarsi della processione, in modo che il falò raggiungesse il culmine al momento del passaggio della statua del santo. Ogni rione cercava di realizzare il falò più alto e spettacolare. Il parroco, al passaggio della statua, benediceva i fuochi. A sera, gli abitanti del rione si raccoglievano attorno al fuoco e cuocevano le patate. Gli anziani raccontavano i cònte (racconti), storie di santi e eroi del popolo tramandate per generazioni, e proponevano i primi indovinelli di Carnevale. Sul tardi, si soffocavano le braci residue e si distribuivano i carboni benedetti alle famiglie del quartiere, a protezione delle case dai fulmini, dagli incendi e dalle disgrazie. La cenere, la mattina seguente, veniva sparsa nei campi. La sera del 19 gennaio, vigilia di San Sebastiano, veniva prelevata la statua del santo dalla chiesa a lui dedicata, fuori le mura, a poche centinaia di metri dalle sorgenti del Gizio, e trasferita con una piccola processione nella chiesa di Sant'Antonio. Il giorno dopo aveva luogo la processione solenne, che ripeteva quella di Sant'Antonio, con la benedizione dei fuochi e la distribuzione dei carboni e delle ceneri.
Architettura
In questa sezione potrete trovare una breve descrizione dei monumenti presenti a Pettorano che ne qualificano l'impianto urbano complessivo e lo caratterizzano come uno dei "Borghi più belli d'Italia".
La sezione è articolata in sotto-capitoli: le chiese, le porte e gli edifici storici, accessibilii dalla barra menù a sinistra.




