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Informazioni Pettorano

Ottobre-Novembre

Capotempo

Il periodo detto di "Capotempo" (Capetièmpe) cade tra la fine di ottobre e i primi di novembre. Esso costituiva il primo dei numerosi capodanni (Capodanno solstiziale, Carnevale ecc.) che nel mondo contadino costellavano la stagione invernale fino all'avvento della primavera. Un ciclo agricolo, con la vendemmia e la vinificazione, si era chiuso; e l'altro, con la semina, incominciava. Allora si riscuotevano i fitti agrari, si concimavano i terreni, si rinnovavano i contratri scaduti e si stipulavano i nuovi. Tra taglialegna e carbonai si formavano le compagnie, che di lì a poco sarebbero andate a "ricacciare le ciocche" e a "fare i carboni" nelle parti romane (Pomezia, Nettuno, Terracina) o in regioni anche più lontane (Casertano, Capitanata, Calabria). Le feste tipiche del periodo erano, e in parte restano, quelle dei Morti, dei Santi e di San Martino.

Tutti i Morti

La sera di Tutti i Morti si accendono i ceri sui davanzali delle finestre. Nell'immaginario religioso popolare essi servivano a indicare alla memoria e alla vista affievolita dei morti la strada di ritorno alla loro antica dimora. Nelle cucine, dopo cena, non si spazzavano le briciole cadute sul pavimento e si lasciava la tovaglia apparecchiata, con le molliche sparse e un "dito" di acqua o di vino nei bicchieri, per un'altra, poverissima cena: quella degli spiriti dei trapassati. Parva petunt manes, dice Ovidio nei Fasti: i morti chiedono poco.

Tutti i Santi

Nel giorno di Tutti i Santi, fino agli anni '60, si usavafare bene ai poveri e ai ragazzi. Poveri e bambini, in quanto inattivi e bisognosi di tutto, sono socialmente invisibili e questa loro invisibilità sociale veniva ab antiquo assimilata alla invisibilità fisica dei defunti. Perciò i ragazzi, nella loro qualità simbolica di figure vicarie dei morti, ricevevano l'offerta dovuta alle anime dei trapassati.

San Martino

Le feste di Capotempo si concludevano l'11 novembre, con la festa di San Martino: la spillatura del vino nuovo, la consumazione in famiglia (la "grande" famiglia contadina) della pizza col mosto-cotto e la processione del santo in figura di fantoccio. Il punto culminante della festa era la processione di San Martino. Essa aveva il carattere della scampanacciata o charivari. Ogni quartiere preparava il suo pupazzo di San Martino, imbottito di paglia e rivestito di stracci come uno spaventapasseri. La testa era formata da una zucca vuota forata negli occhi, nel naso e nella bocca, e illuminata all'interno da una candela. Sulla fronte, ai due lati, troneggiava una coppia formidabile di corna di capro, di toro o di montone. All'ammurlita (crepuscolo) della vigilia, folti gruppi di giovinastri uscivano dal loro quartiere col pupazzo portato a spalla e facevano il giro del paese agitando campanacci e tambureggiando su vecchie casseruole ammaccate, al grido di "Evviva San Martino! Evviva le corna!". Al termine la zucca veniva fatta a pezzi (scucucciata) e il pupazzo dato alle fiamme.

Luglio-Settembre

Santa Margherita - 13 luglio

Festa di Santa Margherita vergine e martire, patrona del paese e signora del Gizio. In onore della signora delle acque freschissime del fiume ("gelide" le dice Ovidio nei suoi versi), che alimentano le fontanelle sparse nella parte meridionale della Valle Peligna e rendono fertili i campi del Sulmonese, la città di Sulmona contribuiva ai festeggiamenti con un'oblazione della comunità municipale. Ma la festa, naturalmente, era dei pettoranesi, che la sentivano e continuano a sentirla ancora oggi come un elemento essenziale della loro identità culturale di appartenenza. L'intensità di questo legame originario è espressa dal detto popolare riferito al giorno della festa:
Santa Margarita - chi 'nn è revenute, /o s'è muèrte o s'è perdute.
(Santa Margherita - chi non è tornato /o è morto/ o si è perso).

Sant'Anna - 26 luglio

Sospensione dei lavori di mietitura e di trebbiatura del grano, in onore di Sant'Anna, madre della Madonna.

San Gerardo

Dal 9 al 12 agosto si svolgeva il pellegrinaggio di San Gerardo, in Val Comino. Una folta compagnia di uomini e donne, soprattutto giovani, sotto la guida di un veterano detto capo-compagnia, partiva alla volta della lontana Gallinaro, in provincia di Frosinone. I fedeli erano forniti di uno zaino e di un bastone di San Gerardo, segno caratteristico del santo pellegrino. Il pellegrinaggio culminava nella partecipazione alla processione del santo per le vie di Gallinaro e, tra andata e ritorno, durava quattro giorni. All'andata, lungo la strada i pettoranesi si incontravano con i pellegrini provenienti da Scanno, pernottavano nello stesso luogo e facevano insieme il resto del cammino. Al ritorno, presso una fontana posta appena fuori dell'abitato di Gallinaro, aveva luogo il rito dell'acqua de santa Fléceta, consistente in una sorta di battesimo di adulti. Tra le persone legate da affetto o che avevano familiarizzato durante il viaggio si stringevano rapporti di comparatico e soprattutto di comaratico. Le donne che volevano "farsi a comare" (comari di San Gerardo) si bagnavano vicendevolmente il dorso della mano sinistra e pronunciavano la formula rituale "Padre, Figlio e Spirito Santo: salute, commà!".

San Rocco - 16 agosto, e la "murgiata" (lapidazione) del gallo
 
La lapidazione del gallo si svolgeva nelle piazze periferiche (Arischia, San Nicola, Ponte del Rio), con una larga partecipazione popolare. Il gallo veniva legato ad un palo con una cordicella più o meno lunga, tale da consentirgli una certa libertà di movimento. La mobilità del bersaglio rendeva più difficile il tiro a segno, più lenta e atroce l'agonia della bestia e più affascinata la partecipazione emotiva della gente che assisteva al gioco. La gara prevedeva la distribuzione, dietro un corrispettivo in denaro, di un certo numero di "colpi" a ciascun concorrente e la consegna della vittima uccisa al vincitore finale, che in genere la dava a cucinare per un pubblico banchetto. Questo gioco (per noi, oggi, incredibilmente crudele) rappresentava l'esito residuale di un antico rito vittimario. Probabilmente il gallo è la controfigura animale del parassita che vive dei frutti del lavoro altrui: da una canzone pettoranese dell'Epifania sappiamo che "lo gallo non feta l'uovo". La sua uccisione e il banchetto delle sue carni servivano a purificare la collettività dai comportamenti parassitari e a restituirle le risorse che le erano state indebitamente sottratte. Altri studiosi pensano ad un rito di passaggio, riservato ai ragazzi sulla soglia della giovinezza. In questo caso, la lapidazione rappresenta la fine rituale del "gallismo" dell'adolescente ormai maturo per assumere la responsabilità dell'adulto. Di conseguenza il rito andrebbe inteso come una prova finalizzata a selezionare gli elementi più forti del nuovo gruppo che entrano a far parte, a pieno titolo, della comunità del villaggio.

San Donato - 4 settembre

Pellegrinaggio a Castel di Ieri, nella Valle Subequana, e visita a San Donato, protettore degli epilettici.

Madonna del Carmine

La festa della Madonna del Carmine, alla fine di settembre, chiudeva l'estate ed apriva il tempo della transumanza, come l'analoga festa che si svolgeva a Scanno nello stesso periodo. Essa culminava a sera, con il ballo delle pupazze, figure femminili fatte di cartapesta colorata. Simboli di leggerezza e di dissipazione, non di rado le pupazze venivano chiamate col nome o col nomignolo di "donnine" proverbiali o di pubblica conoscenza. Ogni figura era animata da un portatore celato al suo interno, sotto le ampie gonne svolazzanti, e tutte insieme volteggiavano per il cielo della piazza, al suono della banda e tra la gente accalcata intorno. Alla fine qualcuno appiccava il fuoco a una di esse. Allora il portatore della pupazza in fiamme imprimeva un ritmo più frenetico e convulso alla danza e cercava lo scontro con le altre pupazze. Queste, a loro volta, prendevano a urtarsi e incendiarsi a vicenda, in preda ad un'improvvisa furia autodistruttiva. Così il ballo si trasformava rapidamente in un rogo purificatorio generale, passando dall'esultanza di vivere al gusto amaro del disfacimento e della morte: dall'allegria alla cenere. Nel rito si incontrano significati antichissimi (purificazione attraverso il fuoco) e significati cristiani (condanna della lussuria) in tema con la celebrazione della Vergine, in linea col sincretismo religioso che caratterizza la storia della civiltà contadina.

Marzo-Aprile

SETTIMANA SANTA
persone_valle1_smallAgli inizi della Settimana Santa, per l'allestimento dei Sepolcri nelle diverse chiese (Chiesa Madre, San Rocco, Sant'Antonio, Madonna della Libera) si usavano come addobbo vasi ricolmi di germogli di grano, fatti crescere al buio e annaffiati di frequente per accelerarne lo sviluppo. Erano germogli pallidi, del colore dei morti, con venature verdastre, di forma filamentosa e serpentina. Dopo lo smantellamento dei Sepolcri, essi venivano portati nei campi perché trasmettessero a tutte le piante, e segnatamente al grano seminato in autunno, la forza vitale acquisita dalla vicinanza al corpo di Cristo morto, nel quale già fermentavano i germi della resurrezone.
LUNEDÌ DELL'ANGELO: LA FESTA
All'alba del lunedì dopo Pasqua i pettoranesi, uomini e donne, ma soprattutto giovani, ragazzi e ragazze, risalgono la Valle di Frevana fino alla grotta di Santa Margherita. E qui si spargono intorno, in liete comitive, a consumare arrosti, salami, uova sode e buccellati, con abbondanti libagioni. Il rito della messa celebrata nella chiesetta e la processione di ritorno al paese con la statua a mezzo busto di Santa Margherita, detta acquarola, restano tutto sommato marginali rispetto al cuore della festa. Questa in realtà si svolge all'aria aperta, a diretto contatto con la natura vergine del luogo, come l'antica festa di Anna Perenna descritta da Ovidio. Un tempo, era evidentemente finalizzata a propiziare la fecondità. L'abbondanza di cibo e di vino e la libertà concessa ai giovani di ambo i sessi la imparentano agli antichi rituali primaverili di ispirazione pagana. Al termine del rito, oggi ridotto ad una scampagnata, i giovani fanno la palma de vòsce (spezzano, cioè, un ramoscello di bosso) e la riportano al paese: "il gruppo vede, prima di tutti, la primavera e la conduce al villaggio" (M. Eliade). Non è inutile ricordare cpersone_valle3_smallhe il bosso sempreverde, caro a Santa Margherita, nell'antichità era sacro ad Ade e Cibele, cioè alla dea di sotto terra e alla grande Madre della fecondità, ed era simbolo della rinascita primaverile della natura. Ed in effetti la figura storica di Santa Margherita di Antiochia (di cui si hanno scarsissime notizie) c'entra poco con la festa all'aperto. La gente ignora la sua storia ufficiale e continua a raccontare quella della magica fanciulla ritiratasi nella grotta, lontano dal mondo, a filare i destini (Iata, in latino) dei pettoranesi. E' evidente che, prima di essere cristianizzata con la santificazione, Margherita era una fata delle sorgenti.

Maggio-Giugno

Madonna dell'incoronata

Visita a piedi, in gruppi e alla spicciolata, alla chiesa della Madonna dell'Incoronata, a pochi chilometri da Sulmona, nella prima settimana di maggio.

Madonna della libera

Visita al Santuario della Madonna della Libera a Pratola Peligna, la prima domenica di maggio.

Sant'Antonio da Padova

Festa di Sant'Antonio di Padova, detto anche Sant'Antonio giovane o piccolo, il 13 giugno.

Febbraio-Marzo

CARNEVALE
tradizioniNel calendario liturgico il Carnevale va dall'Epifania alla Quaresima, ma nelle tradizioni folcloriche la data di inizio varia secondo le zone, tra Natale e Santo Stefano, Capodanno e l'Epifania, Sant'Antonio Abate e la Candelora (2 febbraio). A Pettorano comincia il 17 gennaio, con i fuochi di Sant'Antonio. Tra le tante follie di questo periodo di baldoria, nel medioevo e nei secoli successivi, era diffuso in tutta Europa il Testamento di re Carnevale. Fino a pochi decenni fa si riteneva che l'usanza fosse del tutto estinta. Ma un'inchiesta condotta da Paolo Toschi nel 1953 rivelò a sorpresa che essa era ancora viva in alcune località della penisola. In un paese dell'Abruzzo in particolare, a Pettorano sul Gizio, il vecchio testamento conservava "con mirabile fedeltà" (Toschi) il suo carattere di divertimento popolare e di pubblica denuncia dei peccati della collettività. "Dai manoscritti originali dei testamenti che abbiamo sott'occhio -scriveva Toschi- e da dove appaiono qua e là, cancellate col lapis blu, le strofette che hanno subito la censura preventiva del maresciallo dei Carabinieri o del sindaco, si possono trarre le caratteristiche originarie di questo genere di composizione. Prima di essere letto davanti a tutti, il testamento viene esaminato dall'autorità locale, che dopo aver censurato quanto ritiene censurabile, lo approva con una dichiarazione firmata in calce al manoscritto. Il testamento serba dunque il carattere di atto pubblico". Esso consiste, in sostanza, nella denuncia dei piccoli e grandi fatti di cronaca nera avvenuti tra un Carnevale e l'altro. Vengono, così, alla luce episodi di immoralità, di corruzione, di disonestà e talora soltanto di comica rozzezza e dabbenaggine, che nel loro insieme formano il mucchio dei peccati accumulati durante l'anno. Il linguaggio è quello tipico del Carnevale: corporeo, basso, grasso, scurrile, buffonesco, irriverente, disseminato di allusioni maliziose o oscene, equivoci e doppi sensi. Lo spettacolo iniziava alle prime ore del pomeriggio di martedì grasso e durava fino a sera. I cavalieri del seguito, mascherati, a piedi e in groppa a cavalli, muli e asini addobbati a festa, convenivano nei pressi della casa del Carnevale. Quando la compagnia era al completo, usciva Carnevale e dietro di lui il corteo muoveva alla volta della piazza della Prece, al centro del paese, e qui aveva luogo la prima lettura del testamento. La rappresentazione, ripetuta in tutte le piazze, trascinava la folla ad una partecipazione totale, che aboliva ogni distinzione tra attori e pubblico, in un'intensa esperienza di vissuto popolare.

MEZZA QUARESIMA
I rigori della Quaresima erano momentaneamente sospesi da un ritorno di fiamma del Carnevale nel giorno di Mezza Quaresima. Il digiuno e la penitenza venivano interrotti e si tornava ai divertimenti di Carnevale. I giochi più praticati erano l'altalena, la rottura delle pignate e quello detto casce 'n ganna (cacio in gola). Il re Carnevale poteva comparire di nuovo in piazza, se c'era un testamento di risposta a quello letto nel giorno del martedì grasso. I ragazzi usavano schernire la "Vecchia" (figura simbolica della Quaresima e insieme dell'anno trascorso) con la filastrocca:


Seca, seca, mastre Céccia:
na saraca e na sucéccia,
nu cutture de fafe ammòlla
-mastre Céccia 'n se satòlla

(Sega, sega, Mastro Ciccia:
una saraca ed una salsiccia,
un paiolo di fave a mollo- 
Mastro Ciccia non si sazia).


La strofetta è un incitamento a Mastro Ciccia (figura del Carnevale e dell'abbondanza) a sventrare la "Vecchia" per liberare e rimettere in circolazione le riserve alimentari da essa accumulate e nascoste durante l'anno passato. A suo modo, è un augurio di Capodanno.

 

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