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24-11-2006 - Una lettera aperta al Vescovo di Sulmona

thumb_eremo celestinoSul Corriere della Sera del 18 Novembre 2006, è stata pubblicata la notizia che, per la valorizzazione turistica dell'area del monte Morrone, si starebbe progettando la realizzazione di un Parco religioso alle falde della montagna di Celestino V e che tale progetto godrebbe già dell'assenso non ufficiale delle autorità ecclesiastiche.

A questo proposito Mario Setta, ex prete ed ex parroco della Badia Sulmonese oggi ridotto allo stato laicale, esprime il suo profondo disaccordo con una lettera aperta al Vescovo di Sulmona Mons. Giuseppe Di Falco, che pubblichiamo integralmente di seguito.

  LETTERA APERTA AL VESCOVO DI SULMONA

 

1. LA NOTIZIA. In merito al Progetto del Parco religioso da realizzarsi alle falde del Morrone leggiamo sulla stampa (cfr. "il Corriere della Sera" del 18.11.2006) che esiste il placet ufficioso delle autorità ecclesiastiche e che Franco Iezzi, ideatore e promotore del progetto abbia ottenuto "un primo via libera informale dal vescovo di Sulmona, Giuseppe Di Falco". Non si conosce nessuna decisione ufficiale da parte del Vescovo e della Curia sulla questione del Parco-religioso. Si può quindi presumere che le notizie della stampa siano infondate. Ci sentiamo tuttavia in dovere di esprimere apertamente le nostre valutazioni sul progetto.


2. NESSUNA PREGIUDIZIALE, MA UN DUBBIO. Non abbiamo nessuna pregiudiziale ad un progetto che intenda valorizzare il territorio della zona morronese, notoriamente carica di storia, di spiritualità, di bellezze artistiche e ambientali. Abbiamo però un dubbio, questo sì fondato, che si voglia stravolgere e violare ulteriormente un ambiente, già maltrattato da cave, piste di go-kart, capannoni di fabbriche abbandonate, edifici e superstrade superflue. La zona industriale di Sulmona è la fotografia più straziante d'una città in coma profondo. E le responsabilità sono anche di chi, oggi, rincorre la carta del turismo religioso. I responsabili del disastro di ieri si trasformano in promotori del disastro di domani.


3. IL MERCATO DEL SACRO. L'uso del Sacro in funzione commerciale è antico quanto l'uomo. Ma ciò non autorizza a dilapidare un patrimonio umano e culturale di inestimabile valore. I luoghi di Pietro da Morrone-Celestino V con l'Eremo e l'Abazia, le case di Fonte d'Amore con le baracche del Campo di concentramento, dove i Prigionieri di Guerra respirarono "lo spirito di Sulmona", la chiesetta di S. Onofrio, il tempio di Ercole Curino e tante altre grandi minuzie storico-artistiche rappresentano un tesoro da tutelare. Non per il gusto di aggrapparsi ad un passato morto e sotterrato, ma per apprendere una lezione ed un messaggio di grande attualità, per vivere quello spirito che proietta verso i veri e intramontabili Valori Umani.


4. LA CARICATURA. L'idea di valorizzare questi luoghi di spiritualità, mediante un "parco religioso", riproducendo santuari o ambienti evangelici rischia di tradursi in autentica caricatura. In tempi in cui meccanismi diabolici stritolano ogni cosa, non poteva mancare chi osa perfino afferrare un po' di cielo per rivenderlo sulla terra. Un'idea bislacca. Un parco-kitsch di cattivo gusto che snaturerebbe l'ambiente e lo svuoterebbe di quel clima storico-spirituale, acquisito nei secoli.


5. IL PELLEGRINAGGIO VIRTUALE. La montagna di Pier da Morrone-Celestino V sembra assistere impotente ad uno scempio che la riduce a terra per turisti da turlupinare. E' semplicemente ridicolo pensare che un mini-Calvario o una mini-Lourdes possano sostituire la vera Gerusalemme o la vera Lourdes. Un pellegrinaggio non è mai virtuale. Così è per i cristiani. E ancor più per i musulmani, che sono tenuti a fare il pellegrinaggio (al-hadjj) a La Mecca, almeno una volta nella vita.


6. CELESTINO, POVERO CRISTIANO. Pier da Morrone-Celestino V è un santo-papa che non è stato ancora digerito dal mondo ecclesiastico e dal mondo laico. Un caso eccezionale. E come ogni eccezione riemerge periodicamente. Più lo si tenta di addomesticare, di farne un santo normale, più sfugge alle forme di istituzionalizzazione. Per questo, forse solo un papa alla ricerca dell'Assoluto, lacerato interiormente, poteva coglierne il profondo messaggio. Fu Paolo VI, unico papa nella storia che il 1 settembre 1966 si recò pellegrino al castello di Fumone, in provincia di Frosinone, il luogo dove Celestino era stato imprigionato dal suo successore, il papa Bonifacio VIII e dove era morto. Paolo VI vi andò come segno d'una lezione da apprendere e d'un cammino da riscoprire: la via di Celestino. Su questa via, il Papa voleva incamminarsi nell'ultimo periodo della sua vita, avendo stabilito per tutti i vescovi la disposizione di rassegnare le dimissioni, raggiunti i limiti di età (75 anni). Disposizione alla quale anch'egli intendeva sottoporsi. Per questo aveva espresso, timidamente, il desiderio di dimettersi da papa, come Celestino e ritirarsi in preghiera sulla montagna del Morrone, a Sulmona, per prepararsi all'ultimo passo verso l'aldilà. Quel desiderio rimase tale. Ancora oggi la linea di demarcazione è quella di sette secoli fa: o con Celestino o con Bonifacio. O con la Profezia o con l'Istituzione. O con Cristo o con i mercanti.


7. UN GESTO AVVENIRISTICO. Ci sarebbe un modo per far confluire le folle verso il Morrone. Oggi, come sette secoli fa. Sperare e pregare che Benedetto XVI, data l'età avanzata, si dimetta e si ritiri all'Eremo di Celestino, sul Morrone. Il gesto rivoluzionario che non riuscì a Paolo VI potrebbe riuscire a papa Benedetto XVI. E se non potesse o volesse farlo il papa, ci auguriamo e preghiamo che possa farlo Lei, vescovo di Sulmona, Giuseppe Di Falco.


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