Sei qui: HomeNews ed EventiNews 2011Un comunicato dell’Associazione “Famiglia Suffoletta”

La diligenza. L’ottavo libro di Benigno Suffoletta sulla storia di Pettorano

thumb_di fonso antonio1Di Antonio Di Fonso

La diligenza, l’ottavo libro di Benigno Suffoletta, s’inserisce nel filone della narrativa – documento, un genere a metà tra il racconto d’invenzione e il testo documentario. Del primo presenta tutte le caratteristiche più ricorrenti, dall’intreccio della vicenda ai personaggi descritti in pochi tratti rapidi ed essenziali ma sempre con grande efficacia psicologica e realistica; del secondo ripropone lo scrupolo della documentazione e la fedeltà della ricostruzione storica, affidata ai dati oggettivi e alle fonti pubblicistiche. Ma il libro di Benigno è soprattutto un’ affabulazione narrativa che rimanda ai modelli preletterari, alla tradizione orale della fabulazione e della novellistica, capace di catturare l’attenzione dei lettori dalla prima all’ultima pagina, in un racconto scorrevole e fluido.

Dal punto di vista linguistico, appare di sicura originalità e freschezza inventiva la scelta di utilizzare a tratti il dialetto pettoranese, che infonde al racconto vivacità mimetica e realismo descrittivo e nello stesso tempo contribuisce alla rievocazione sentimentale di un mondo restituito ai lettori con affettuosa adesione.

La storia raccontata nella Diligenza è una vicenda d’amore, “di un amore sincero e non imposto”, che vede protagonisti due giovani alla fine dell’800 a Pettorano: Nicola e Rosaria. I due si conoscono, si scelgono, si innamorano e, dopo aver superato qualche ostacolo, si sposano, facendo trionfare l’amore sulle imposizioni familiari e le necessità economiche.

Una storia intima, di piccola e straordinaria umanità, intessuta nella vita quotidiana dove i comportamenti e le parole dei protagonisti rispecchiano le usanze di una tradizione arcaica, appartenengono a un destino comune, quello dei padri e dei nonni, scandito dalle leggi non scritte della cultura contadina. All’interno di un mondo chiuso, anche l’amore, il sentimento più spontaneo e mutevole di cui è capace l’essere umano, diventa costrizione, obbligo regolato da leggi inesorabili.

 

I matrimoni erano tutti combinati. Nei piccoli paesi rurali, in particolar modo nelle regioni del meridione, fino alla metà del secolo scorso, solo una piccola parte di giovani sceglievano la sposa a proprio piacimento. La maggior parte sposava ragazze scelte dai genitori e quasi sempre per motivi di interesse

 

La storia di Nicola e Rosaria narra invece di un amore vero, disinteressato, che esula dalle regole imposte dai “matrimoni considerati come veri e propri contratti tra le parti”, che sigillavano le unioni sulla base di interessi e vincoli patrimoniali secondo la morale, la mentalità e la necessità del tempo.

La vicenda però non rimane soltanto la testimonianza di un’educazione sentimentale, al contrario si amplia, poiché si svolge in un periodo storico ben determinato e interseca un momento cruciale per le sorti dell’Italia: il processo di unificazione del Paese, la fine dei Borboni e il brigantaggio sono alcuni degli avvenimenti epocali osservati dal microcosmo di Pettorano.

Dunque proprio in quegli anni decisivi, due ragazzi di un piccolo paese del Meridione si conoscono e s’innamorano:

 

A Pettrane ce stève nù bièjie giovane àute, svèlte, forzute e lavouratòure, se chiameva Necola Monaco, faceve jù contadine. (…) Un giorno Nicola disse alla mamma: ‘ Hai fatte ‘na pensata, me vuèie accasà” (Mi voglio sposare)

 

Nicola conosce Rosaria, i due giovani si innamorano a prima vista. Le famiglie si incontrano, concordano e stabiliscono tempi e modi del fidanzamento secondo una ritualità consolidata nei secoli. L’incontro, le presentazioni, il consenso al fidanzamento, il goffo e impacciato frequentarsi degli inizi, le visite di Nicola a casa di Rosaria, durante le quali i due ragazzi potevano soltanto scambiarsi qualche parola, controllati sempre dalla presenza vigile e occhiuta della madre di lei, fino al primo bacio e alla passione che divampa e diventa irrefrenabile, contro cui nulla possono né divieti né raccomandazioni familiari. Le pagine che descrivono questi momenti ricostruiscono con semplicità accattivante e nitidezza espressiva gesti e comportamenti di una tradizione rimasta ancora viva nella memoria di generazioni di pettoranesi.

Alcune scene sono esemplari al riguardo: come quella del giorno del matrimonio con i preparativi del banchetto e il vicinato che partecipa attivamente alla buona riuscita della festa:

 

Il pranzo fu preparato dalle cuoche specializzate del paese. La carne, in abbondanza, fu servita in tutte le qualità. (…) La sera tutti gli invitati in un lungo corteo, sposi in testa, si trasferirono a casa dello sposo per il ricevimento che fu ricco di tante passate (portate) di ogni ben di Dio

 

O si  pensi alla toccante sequenza del regalo propiziatorio che la suocera offre alla sposa:

 

Quando il corteo con gli sposi in testa, arrivò a casa dei suoceri, Nicola e Rosaria sull’uscio trovarono la madre dello sposo che ad alta voce diede il benvenuto alla sposa e le consegnò le chiavi della casa. Poi le mise al collo una collana d’oro con un ciondolo di corallo rosso. Quel gioiello, oltre che elemento estetico, aveva una funzione propiziatoria e di fertilità. Assunta abbracciò la sposa dicendole: “Augorie, endra che iù pé derette ‘nnenze” “Auguri entra con il piede destro avanti”.

 

Gli snodi del racconto contribuiscono a catturare l’attenzione del lettore, proponendo ostacoli - immancabili in una vicenda d’amore pure destinata al lieto fine – e impedimenti temporanei che potrebbero vanificare il sogno d’amore dei due giovani. La “pensata” sbagliata di Nicola (il quale a un certo punto decide di comprarsi un asinello con i soldi destinati al regalo della sposa) provoca la momentanea rottura del fidanzamento; le invidie del vicinato (Angiùlina, la vicina pettegola) costringono i genitori degli sposi a cercare immediati rimedi e rapide soluzioni. I quali si affidano allora ai consigli del prete (“Sci benedettè”) non prima di aver tentato di seguire quelli della fattucchiera (“Iu beccheriotte) , a dimostrazione di come nella cultura popolare il sacro e il profano, la religiosità e la superstizione convivano integrandosi perfettamente.

Ma la storia d’amore, come abbiamo detto, s’innesta nella Storia collettiva, le vicende locali e private entrano nel flusso degli epocali cambiamenti dell’Italia di quegli anni.

E vi entrano proprio seguendo le piste e le strade polverose percorse dal mezzo di trasporto, sinonimo di viaggi avventurosi e traversate epocali, che dà il titolo al libro: la diligenza.

 

La diligenza aveva una capienza di sedici posti a sedere, passava quattro volte la settimana Pettorano, due all’andare e due al ritorno e si fermava alla Locanda, situata all’inizio della ripida salita della strada Napoleonica verso il Piano delle Cinquemiglia

 

Nicola “prestava servizio saltuariamente” come aiutante sulla diligenza che viaggiava da Pettorano fino a Napoli. E così, lungo i tragitti e le traversate erte e perigliose di quel percorso, viaggiando verso la città partenopea, il giovane pettoranese scopre il mondo, rimanendo meravigliato davanti alla grande capitale del Sud “dove le fontane sono dentro casa”.

In uno di questi viaggi una mattina egli incappa nei briganti che rapinano la diligenza e depredano passeggeri e personale di servizio; anche Nicola viene derubato del suo cappello, ma uno dei briganti originario di Pettorano riconosce il ragazzo e, ricordandosi della generosità che aveva ricevuto dal padre di Nicola, gli promette che il maltolto verrà un giorno a lui restituito. E quella promessa sarà mantenuta, in modo del tutto inaspettato, proprio la domenica delle nozze di Nicola e Rosaria, quando uno sconosciuto dopo aver avvicinato Francesco, il padre dello sposo, chiamandolo in disparte e consegnandoli un pacchetto, gli dirà in modo solenne:

 

Te lo manda uno che non dimentica mai chi gli ha fatto del bene”.

 

In quel pacchetto c’era il regalo di nozze del brigante che aveva rapinato la diligenza e Nicola: venticinque marenghi d’oro, “una fortuna”.

La Storia, dunque, penetra nella vicenda dei due sposini pettoranesi, viaggiando sulla diligenza, sullo sfondo di un Meridione in cui si susseguono gli episodi destinati a diventare celeberrimi: si assiste al passaggio del re Vittorio Emanuele II (transitato anche a Pettorano sulle strade della Napoleonica) e all’incontro di Teano. Ma nel suo viaggiare La diligenza racconta anche il disagio e la sofferenza, la durezza della vita quotidiana di una popolazione inchiodata a uno stato immutato di povertà, ancora diffidente dei nuovi “signori piemontesi” e simbolo di un Sud che fatica a sentirsi “italiano” malgrado le promesse di cambiamento e riscatto sociale.

In questa dimensione del racconto, la storia privata e quella collettiva, la vicenda d’amore e la testimonianza sociale del microcosmo pettoranese si intrecciano continuamente, dietro le quinte dei cambiamenti epocali, in un ritmo narrativo che conferisce al libro scorrevolezza e facilità di lettura. Emerge in conclusione un ritratto vero, realistico, mai consolatorio di una civiltà contadina dignitosa e fiera, ma anche contraddistinta dalla durezza quotidiana del lavoro, a cui si sacrificano anche i sogni d’amore e di felicità. Ma nonostante tutto, sono proprio essi, l’amore e la felicità che ostinatamente i due giovani inseguono, i destini che riscattano l’esistenza di quelle vite.

Nicola e Rosaria, con il loro racconto d’amore a lieto fine, rievocano una Pettorano luogo della memoria e degli affetti e finiscono col diventare, in tutta la loro genuina semplicità, i testimoni esemplari di un’epoca che ancora vive nel nostro cuore, come eco di un’infanzia collettiva.

Ed è questo il senso e  il significato profondo del libro di Benigno Suffoletta.

 

Sono, spesso, le memorie dell’infanzia, dell’adolescenza, legate ai nostri avi, alle persone con i capelli bianchi che ci hanno accompagnati nel cammino importante della nostra vita”.

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